Era ragazzo come tanti,
grande e grosso.
Passava per strada senza che nessuno lo vedesse.
Ma scriveva poesie,
che belle si diceva
A leggerle si sentiva interiore tormento
senza che si capisse perché.
A leggerle erano simboli e non parole,
simboli che a capirli
dicevano di prigioni taglienti
di filo spinato
di coperchi pesanti.
Chiusi da mani d’amore.
Si capivano parole ma non quello che
egli disperatamente silenziosamente
urlava.
Dallo spiraglio filtrava ogni tanto un verso,
che bello si diceva.
Un giorno di novembre ha scavalcato
il parapetto del ponte
e di lui non si è saputo più nulla.
Ci restano ora quelle poesie,
che belle si diceva,
che a capirle
erano grido di aiuto, urlo di rabbia impotente
contro una prigione spinosa
imposta da mani d’amore.
Amore antichissimo
amore incolpevole
che ha trascinato,
senza saperlo,
in quel cuore
pesi insopportabili
per l’animo dell’uomo.