Si manifesta uno spunto e dà l’occasione per parlare (o per riparlare ) delle fiabe e di una fiaba in particolare.
E’ noto ormai da tempo che le fiabe sono una manifestazione archetipica , in parte metaforica ed in gran parte simbolica, dei contenuti inconsci.
Contenuti, manco a dirlo, completamene ignoti alla coscienza umana.
La forma della rappresentazione vorrebbe avere lo scopo di far capire non all’ego (completamente accecato a causa della sua coscienza dissociata) ma bensì alla sua coscienza qual’è la situazione della sua psiche ed insieme dargli indicazioni sul percorso da compiere per uscire da quella condizione di alienazione nella direzione della coscienza di sé.
Fatica improba e troppo spesso vana.
Dato che se l’ego è cieco la sua coscienza alienata è a dir poco sorda.
Detto questo parliamo dunque della notissima favola di Collodi .
Cercherò di interpretare ciò che ricordo della favola di Pinocchio.
Naturalmente avrei molti modi per rileggere l’intero sviluppo della fiaba ma voglio attenermi a ciò che ricordo di essa.
Dato che ha senso sia ciò che si ricorda (e sia ciò che non si ricorda).
Or dunque un pover’uomo costruisce con le proprie mani (e quindi non per intervento magico e meno che mai divino) la propria coscienza dissociata .
Sappiamo che nel bambino è l’ambiente parentale che dà alla sua coscienza l’impronta (l’imprinting) nella direzione della alienazione da sé.
Ma non v’è dubbio che è il cervello umano che costruisce sulla base di quella impronta la coscienza dissociata: Una coscienza che ignora i contenuti dell’inconscio e del proprio Sé.Una coscienza che senza tutto ciò costruisce una quantità di protesi artificiali cercando disperatamente di surrogare la cosa in sé della quale pur vagamente percepisce l’assenza.
Nasce così la coscienza-burattino.
Una coscienza sorda verso il proprio Sé e aperta verso ogni suggestione della realtà.
Un burattino etero-diretto che a sua volta etero-dirige l’individuo.
Si sa “la mente mente”.
Ed il nostro burattino è infatti un gran bugiardo.Nega all’individuo la reale visione della realtà e di sé stesso.
Gli nega la reale natura dei suoi sentimenti e delle sue emozioni,
Gli nega talora la reale natura della sua sessualità.
Tanto più la coscienza mente all’ego tanto più si sviluppa il “falso fallo” cioè una razionalità sempre più esasperata che allontana l’ego stesso dalla verità della sua vita.
Ogni volta che egli mente al nostro burattino infatti cresce vieppiù il suo naso di legno.
La coscienza-burattino è così aperta ad ogni suggestione della realtà ed è da essa pilotata anzi sballottata di qua e di là come una barca in preda ai flutti.
Raggirata da furbi approfittatori (il gatto e la volpe), sfruttata da altrettanto furbi e prepotenti padroni.
Ma ……
Ma accade ad un certo punto della vita che si fa un incontro importante: Il nostro burattino al colmo delle sue traversie incontra la Fata Turchina. L’individuo incontra Anima.
La fiaba accortamente ci informa che questo incontro non sarà né facile , né agevole e tanto meno veloce (ma quanto tempo ci mette la brava lumachina ad aprire la porta a Pinocchio?)
Si tratterà di un processo lento e lungo nel quale non l’impazienza ma bensì la pazienza deve giocare il suo ruolo.
Nel quale anzi l’esercizio della pazienza andrà costantemente esercitato.
Del resto un individuo che per un così lungo tratto della propria vita ha ignorato sé stesso e la sua natura umana (non per sua colpa certo e nemmeno per colpa dei suoi genitori ma perché questa scuola l’ambiente parentale gli ha trasmesso. E gli ha trasmesso ciò che a loro volta altri ambienti parentali hanno trasmesso ai suoi genitori ed ai genitori dei genitori.) non può certo pensare che in un attimo si gira un interruttore e cambia tutto.
Già deve considerarsi fortunato che, a differenza di tantissimi altri, abbia trovato la strada giusta da percorrere , abbia imbroccato la giusta direzione.
Il nostro burattino avendo incontrato la Fata Turchina inizia il suo processo di trasformazione.
E da burattino di legno lentamente egli si trasforma in bambino umano.
E’ la trasformazione della coscienza-burattino che da organo pischico alienato dal Sé lentamente si trasforma in coscienza di sé.
Ma il percorso non è ancora concluso.
Il processo di trasformazione della coscienza implica e porta con sé, è anzi tutt’uno, con la liberazione dell’individuo dalla sua condizione di incoscienza , con la sua uscita dal suo stato inconscio.
E così il povero Geppetto sfugge dal ventre della gigantesca balena nella quale era fino ad allora vissuto, nella quella era tenuto, suo malgrado, prigioniero.
Sfugge a quell’orizzonte limitato che l’aveva sin lì accecato e si lancia perciò nel grande mare di una esistenza finalmente umana e non più quindi meccanica, alienata, vittima inconsapevole di ogni flutto, di ogni suggestione, di ogni stormir di fronda.
L’uomo-massa con la sua coscienza-burattino sfugge così finalmente al destino che l’ambiente parentale inopinatamente aveva scritto per lui ed egli ritrova così la strada del proprio destino: Quello che era scritto nei suoi geni, quello che i grandi archetipi della sua vita (e non quindi della vita degli altri) avevano effettivamente tracciato per lui.