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Scrivere delle proprie intuizioni in psicoanalisi ( e quindi scrivere delle conseguenti eventuali nuove idee , nuovi concetti , nuove ipotesi, ecc.) è del tutto inutile per coloro che ne leggono.
Primo caso:
Coloro che ne leggono sono cristallizzati nella loro condizione dissociativa acquisita, loro malgrado, nel corso dell’imprinting infantile e sono impediti , a causa di quella condizione e delle conseguenti resistenze inconsce al cambiamento, a comprendere , quale che sia la loro intelligenza, delle cose che si scrivono in merito.
Secondo caso:
Coloro che leggono hanno fatto qualche forma di terapia (didattica, terapeutica, freudiana , junghiana , ecc., ecc.) e sono cristallizzati nella condizione psichica faticosamente acquisita grazie a quelle terapie e ritengono , per gli stessi motivi del primo caso, le cose scritte incomprensibili o, per i più indottrinati ,vaneggiamenti o deliri.
E’ una forma di difesa nei confronti della identità acquisita grazie alla terapia e poco importa se quella identità non si fondi sulla loro reale natura ma su qualche forma di protesi , più o meno lontana, di falso sé.
Il fatto è che non si muta la propria condizione psichica leggendo libri o studiandoli grazie alla propria intelligenza razionale, ecc..
La propria condizione psichica può cambiare i soli due modi:
- Grazie all’imprinting infantile nel corso ovviamene dell’infanzia e della adolescenza nel corso della quale si acquisisce per emulazione la condizione psichica dell’ambito parentale infantile (quale che essa sia , purtroppo) ;
- Grazie all’ambaradan della terapia (dialogo prolungato, interpretazione dei sogni, transfert, sviluppo di germi di capacità intuitiva nella coscienza del paziente, ecc.).
E quindi scrivere di psicoanalisi serve solo a chi ne scrive .
Se non fosse altro che per farci grana con i diritti di autore (vedi Hillman o gli eredi di Freud e di Jung) .
Ma certamente non serve o serve ben poco a chi ne legge.