E’ una domanda difficilissima da porsi.
Alla quale non sa dare risposta colui o colei che è odiata, per quanto se ne arrovelli.
Ad essa non sa dare nemmeno risposta colui o colei che odia.
Peraltro quest’ultimo è talmente accecato dal suo odio verso l’altro da non essere capace nemmeno di porsi una domanda del genere.
E comunque per quante ragioni ed alibi e scuse e motivazioni entrambi possano trovare per questo odio , dato e ricevuto, è molto difficile che essi riescano a trovare la risposta giusta.
L’odio ed il disprezzo verso l’altro è un sentimento prodotto dalle preclusioni estreme della coscienza dissociata nei confronti di tutto ciò che possa , seppure lontanamente , seppur vagamente, produrre in essa un mutamento del suo patologico e patogenico status quo.
E ciò che è in grado veramente di produrre mutamenti in quell’orrore sono com’è ovvio i contenuti dell’inconscio.
Dapprima i contenuti che rappresentano le tragiche e dolorose esperienze vissute nella infanzia e , dopo, i contenuti che tutti insieme rappresentano il Sé dell’individuo , la sua vera e reale natura così spietatamente negata da quella configurazione di coscienza.
In questo rapporto di odio quello che in apparenza ne soffre di più è colui o colei che è odiato.
Che ne soffre di più e che è inoltre esposto al peggio a seconda delle condizioni sociali ed umane di colui o colei che odia.
La storia e la cronaca ce ne danno ampi esempi.
Colui o colei che ferocemente odia in apparenza è quello che ne soffre di meno .
Anzi può giungere a godere del proprio odio e delle sofferenze che riesce ad infliggere all’odiato altro.
Ma se egli fosse trasparente potremmo vedere una parte di quest’individuo che soffre in silenzio e fuori dalla capacità di percezione della sua coscienza le pene dell’inferno.
In quanto l’odio che esprime verso l’altro è fedele rappresentazione dell’odio che egli prova verso sé stesso.
Quella pena e quel dolore non sono diversi dalla pena e dal dolore da colui o da colei che è odiata ma ci commuove di meno a causa dell’arroganza , della ferocia, della crudeltà che l’individuo riesce ad incarnare.
Nel rapporto duale colui o colei che odia e colui o colei che è odiata sono in apparenza , nella realtà, una coppia di individui ma nella realtà psichica essi sono due metà dello stesso soggetto psichico, due metà legate da un legame patologico.
L’uno interpreta il ruolo del carnefice (e come forte e fiero si sente nell’interpretare questo ruolo) mentre l’altro interpreta invece il ruolo della vittima (e quanto ne soffre !).
Ma il carnefice e la vittima sono nell’uno ed il carnefice e la vittima sono nell’altro, sono nelle rispettive psiche, celati e velati alla loro ragione.
E succede (senza che nessuno se ne accorga) che la vittima nell’uno solleciti il carnefice dell’altro ed il carnefice in quest’ultimo ricerchi la vittima nell’altro.
Ed in questa ricerca traspare, e talora sembra giustificare , un qualcosa che assomiglia , ma non è, amore.
Qualcosa che riveste e copre e giustifica e nasconde la realtà di quel rapporto.
Da quell’orribile circolo vizioso non si esce se ciascuno dei due non pone, finalmente , mano a sé stesso.