L’amore come la vita è caduco.
Si ama e quando talora le ruote della vita girano e quell’amore finisce si soffre disperatamente.
Si soffre per la perdita della “cosa in sé” ma anche si soffre , in aggiunta, per lo strazio della lacerazione delle proiezioni che su quella “cosa in sé” erano attive.
E i due dolori, che sono unica sofferenza, sono di fatto inseparabili.
Per amare, pur sapendo che l’amore ha in sé questa possibile spina dolorosa , ci vuole coraggio.
Perché non amare è sicuramente peggio.
Chi non ama e non ha mai amato non può sapere quanto la sua vita sia povera , e quanto sia stata povera, senza quel fuoco incomprensibile che vivifica l’esistere.
Amare bisogna.
Affinchè la vita si arricchisca di significato e di quel fuoco freddo, caldo ed intenso che si chiama passione.
Ma per amare ci vuole coraggio e la forza di vincere la paura di dover affrontare, ancora ed ancora, il dolore che l’amare può portare con sé.
Ma: “Amor, ch’a nullo amato amar perdona (, mi prese del costui piacer si forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona)” – (Dante, Divina Commedia , Inferno canto V verso 103).
L’amore ha anche però una sua forza irresistibile che lancia verso “l’oggetto” incomprensibili raggi o legami o tentacoli (o proiezioni) che costringono l’oggetto di quell’amore a riamare a sua volta (a colui che non ha mai amato concede (Amar [per]-dona) di amare)
E a questa forza attrattiva è molto difficile sfuggire.
Straziati perciò siamo.
Tra la forza attrattiva ed attraente dell’amore e la paura del dolore che , pur sappiamo, esso può causare quando ad esso ci si abbandona.
Ma non è possibile sfuggire a tutto ciò pena una vita senza vita.