E’ facile immaginare le esperienze di un bambino il quale, negli anni subito dopo la nascita, si trova a vivere in un ambiente
familiare ostile al suo bisogno primario e potente di crescere psichicamente e di portare alla coscienza i contenuti del suo
inconscio e del suo Sé.
Magari in un ambiente nel quale è raro o inesistente l’amore o la presenza parentale.
Magari in un ambiente il quale usa mezzi “educativi” e “correzionali” violenti ed aggressivi.
Magari anche di peggio.
Un insieme di esperienze terribili che è facile immaginare dato che forse in realtà esse sono probabilmente diffusissime ed all’ordine
del giorno praticamente quasi in ogni essere umano.
Un insieme di esperienze che hanno portato con sé sofferenza e dolore.
Una insieme di esperienze vissute ma il cui dolore non ha mai raggiunto la percezione perché ciò sarebbe stato devastante per la
piccola coscienza in formazione del bambino stesso.
Che altro si può desiderare in situazioni come queste se non lo scappare via ?
Se non il ritornare alla esperienza ineffabile di quando il bambino viveva nell’utero materno.
Lo scappare via, il tornare indietro, il regredire.
Bisogno comprensibile ma impossibile da esaudire.
Ritornare indietro in quel luogo fisico e psichico di ineffabile felicità.
Nessuno ovviamente ci riesce ma qualcuno, sotto la terribile pressione del suo ambiente infantile ostile, quel luogo psichico
riesce a raggiungerlo.
E il risultato sono le patologie mentali più estreme a partire con una certa probabilità dell’autismo.
Il bisogno di regredire sotto la pressione di un ambiente ostile e terribile ha anche , sembra incredibile, un suo aspetto positivo.
Ed è la psicoanalisi ad usare quel bisogno a fini terapeutici.
La regressione controllata, l’abreazione, ecc. quel bisogno in una qualche misura utilizzano riuscendo, grazie ad esse, a portare
alla coscienza dell’adulto, rimasto psichicamente bambino, quelle esperienze rimaste fuori a suo tempo dalla coscienza e
perfino dalla memoria.
Un percorso di regressione che insieme a quelle esperienze porta alla coscienza, talora, anche le sofferenze e le emozioni
vissute e non percepite allora.
Sofferenze ed esperienze rimosse insieme, tenute insieme fuori , a suo tempo, dalla fragile coscienza del bambino.
Talora perciò l’abreazione può essere in qualche misura una via crucis (e non uso questo termine simbolico a caso).
Una via crucis che deve portare quelle esperienze, quelle sofferenze, alla “croce” della coscienza.
Ricordo che C.G. Jung sul simbolo della croce come rappresentazione della coscienza del Sé ha molto scritto, della croce e
dei suoi quattro bracci simbolo delle quattro funzioni della coscienza del Sé.