Non si può dire e nemmeno pensare che un organo provi dell’amore verso l’organismo che lo ospita.
Ma se questo organo è dotato di un S.N.C., seppure in formazione, si può allora pensare che il feto , organo in fusione simbiotica quanto mai altri con il grembo e l’organismo materno, possa sviluppare nei confronti di quella vitale culla una sentimento intenso e profondo di amore.
Sentimento senza nome e senza percezione.
E quando la nascita avviene vivere per questo inevitabile distacco un sentimento di lutto, di abbandono e vivere perciò un dolore , il dolore straziante del distacco, della perdita, del lutto.
Tutto è ancora senza nome, senza classificazione, senza la distinzione, senza la catalogazione che fa la coscienza.
Tutto resta seppellito nell’inconscio del non percepito, nell’inconscio dell’indifferenziato.
Ma quando un evento dello stesso senso va a costellare quel dolore antico ed inconscio ecco che esso prepotentemente ed in forma lacerante affiora (finalmente si direbbe) alla coscienza.
E quel dolore primario, antico e profondissimo si rivive allora penosamente e faticosamente.
Qualcosa di tragico, di antico e di differenziato esplora allora le risorse della coscienza per farsi conoscere , per farsi riconoscere, per potersi esprimere, per manifestarsi una volta per tutte.
E quando di questo dolore antico non si riesce a prendere coscienza eccolo allora ripresentarsi in ogni occasione opportuna, in ogni lutto, piccolo o grande che esso sia , espandendo a dismisura il pur legittimo e naturale dolore dell’evento.
Dolore si aggiunge a dolore. Un dolore del quale si conosce la causa si sovrappone ad un dolore inconscio e non riconosciuto .
E quest’ultimo esacerba ed amplifica in modo insopportabile il primo.
E soggiunge il sospetto che quel dolore antico, profondo ed inconscio possa essere lui stesso , spinto dalla pulsione verso la coscienza, a innescare , sospingere, agevolare eventi che possano fargli raggiungere il suo scopo psichico