Scrivere di psicoanalisi è per metà tempo perso.

Per la prima metà  per la parte nella quale uno scrive di psicoanalisi per sé stesso, avendo un bisogno profondo di esprimere sulla carta le proprie intuizioni, le proprie interpretazioni , le proprie idee o ideuzze, è tempo guadagnato.

Per l’altra metà , per la parte nella quale ci si aspetta che qualcuno legga ciò che si è scritto , ebbene questo è tempo perduto.

Il fatto è che per quanto uno possa cercare di  scrivere in un linguaggio piano, non scientifico o pseudo tale, non dottrinario, non culturalmente vanesio lo scritto incapperà inevitabilmente in lettori le cui resistenze impediranno a questi ultimi , loro malgrado,  di comprendere ciò che si è scritto.

Scrivere di psicoanalisi può assomigliare allo scrivere, sotto la spinta della ispirazione creativa, poesie.

Alcuni le leggono e ne ammireranno la bellezza  formale e la sonorità armonica.

Altri ne adoreranno il bel verso , l’elegante costrutto, la bella immagine che quella poesia propone .

Ma ben pochi riusciranno a comprendere il senso profondo che quella poesia vuole esprimere.

Senso profondo che il più delle volte è oscuro anche al pur ispirato poeta.

A fermare la comprensione sono anche qui le resistenze inconsce ma , come per lo scrivere di psicoanalisi, il quasi totale e generalizzato azzeramento della capacità intuitiva individuale.

Ed è questo il danno peggiore e più grave che la pressoché generale condizione dissociativa ha portato nei confronti della funzione intuizione, nei confronti dell’altra intelligenza della quale pur gli esseri umani sono geneticamente dotati.

L’azzeramento della capacità intuitiva è una delle più potenti difese della coscienza dissociata che in questo modo impedisce all’individuo ed a sé stessa di comprendere intuitivamente e quindi integrare in sé i contenuti dell’inconscio.

Il motivo è ovvio.

Integrare in sé i contenuti dell’inconscio, il prendere coscienza dei significati di quei contenuti simbolici, innescherebbe un processo di mutamento della coscienza che condurrebbe inevitabilmente al superamento dello status quo dissociativo.

Comprensibili quindi da quel punto di vista le resistenze , le difese potenti, l’azzeramento della capacità intuitiva.

Ma per quanto riguarda invece l’ego e l’individuo, che di quella condizione dissociativa soffre tutte le conseguenze nefaste sia a livello mentale che a livello fisico, esso  l’ego cosciente che fa?.

Perché subisce passivamente quelle condizioni nefaste e profondamente  dolorose senza assumere su di sé la responsabilità della propria vita e di sé stesso cercando perciò l’aiuto adatto?.

Aiuto risolutivo che non è solo nella farmacologia o nella clinica ma in coloro i quali i linguaggi simbolici comprendono ed i blocchi, che perpetuano la malattia mentale, possono aiutare a rimuovere?

 

 

 

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