Nell’individuo inconscio e dissociato da sé il suo inconscio contiene , in qualche forma , tutte le sue esperienze trascorse (soprattutto quelle infantili
ed adolescenziali, di solito responsabili di quella condizione dissociativa) e delle quali l’individuo non è capace di riconoscere il senso.
Contiene anche , ed è parte a dir poco importante, tutta la vita che invece avrebbe potuto vivere e che fin là non è riuscito a vivere in quanto la sua
condizione di dissociazione gli ha impedito di integrare i contenuti di quell’inconscio avviando e quindi portando a termine il suo processo di sviluppo
psichico.
L’inconscio conterrà perciò tutte le sue esperienze passate (soprattutto quelle che hanno inciso ferite nella sua coscienza) e tutte le esperienze
possibili che avrebbe potuto vivere (e che probabilmente potrebbe ancora vivere se riuscisse a diventare cosciente di sé).
Ma allora l’individuo inconscio e dissociato da sé quale vita ha vissuto?
In gran parte egli ha vissuto nella realtà la vita nel limite e nelle forme che l’esperienza infantile gli ha consentito di vivere e ciò grazie soprattutto
all’adattamento al mondo ed a sé stesso che quella esperienza ha reso possibile nel bene e nel male.
Riporto qui pochi versi di un (credo sconosciuto) poeta friulano Federico Tavan (da “Cràceles cròceles) che quel limite ha vissuto dolorosamente
e pesantemente per tutta la sua vita:
Ricordo un giorno
professoressa
durante l’ora di ricreazione
mi hai chiesto a bruciapelo:
“Ma allora che farai ?”
Ho indicato con i miei timidi occhi
l’esatta metà
del muro che ci stava davanti:
“Posso arrivare soltanto fin là,
per me è come salire in cima”.