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Nella terapia analitica l’analista è lo specchio che cura.
Egli riceve la comunicazione dell’inconscio del paziente attraverso i sogni , il transfert, la postura , le tante verbalizzazioni e restituisce alla coscienza dello stesso la messe di significati che tutte quelle comunicazioni gli hanno inviati.
Non è una restituzione analitica e puntuale.
Il linguaggio spontaneo dell’analista conterrà , che egli ne sia consapevole o meno, le risposte di cui la coscienza del paziente ha bisogno per iniziare il suo processo di mutamento.
Ovviamente tanto più questo rispecchiare i contenuti dell’inconscio del paziente nella sua coscienza sarà efficacemente terapeutico tanto maggiore sarà la consapevolezza dell’analista e tanto più egli sarà cosciente di sé.
Questo processo di rispecchiamento terapeutico non l’ha inventato la psicoanalisi.
Esso è un processo spontaneo e naturale ed è esattamente quel processo che dovrebbe svolgersi nel corso dell’imprinting infantile ove i genitori fossero coscienti di sé (non necessariamente quindi anche di sé consapevoli).
Essi fungerebbero rispetto ai contenuti inconsci via via affioranti dall’inconscio dei figli come degli specchi che quei contenuti con i loro significati rimanderebbero alle coscienza di questi ultimi ponendo le basi per un percorso di crescita spontaneo e naturale.
La comunicazione dell’altro verso l’inconscio liberato dell’analista ,per la via del transfert, è una specie di comunicazione flash che in estrema sintemi riferisce della condizione psichica del soggetto.
E la risposta verso la coscienza dell’altro di fatto mette le basi per il suo mutamento.
Le informazioni/significati che quella condizione della coscienza definiscono quando ritornano alla coscienza dissociata (di fatto aggirando ogni resistenza) innescano, in background, un processo di elaborazione complessiva delle informazioni che ha su quella coscienza, come già si è detto, effetto mutageno.