“Aristotele parlò di entelechia in contrapposizione alla teoria platonica delle idee, per sostenere come ogni ente si sviluppi a partire da una causa finale interna ad esso, e non da ragioni ideali esterne come affermava invece Platone che le situava nel cielo iperuranio. Entelechia è quindi la tensione di un organismo a realizzare se stesso secondo leggi proprie, passando dalla potenza all'atto.” (da Wikipedia).

Senza voler entrare in dispute filosofiche delle quali non potrebbe fregarmi di meno vorrei spendere una parola su quella parola (e sulla definizione che sottende).

Intanto la filosofia e le sue varie correnti è, come quasi tutti i prodotti dell’ingegno prodotti dall’individuo inconscio di sé, (solo o anche) un insieme di rappresentazioni che esprimono, all’insaputa del filosofo stesso, i suoi contenuti inconsci significativi.

Rappresentazioni più o meno distanti dai significati di quei contenuti.

Per carità utilissimi, se correttamente interpretati, per comprendere il senso di quelle forme di espressioni culturali e la distanza di colui che le ha espresse da sé stesso.

Sono quelle correnti del pensiero filosofico né più né meno che come i processi alchemici: rappresentazioni significative di contenuti interiori inconsci.

Tornando alla entelechia occorre però dire che Aristotele si è avvicinato forse più di chiunque a quei significati inconsci fornendo con quella definizione una rappresentazione praticamente fedele e vicinissima alla realtà dei processi di crescita psichica , dei processi di presa di coscienza di sé.

E con questo ho esaurito il mio approccio alla filosofia.

 

 

 

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