C’era un tempo , parecchi decenni fa, che mi piaceva ogni tanto andare a pesca.
Di solito prendevo poco o nulla ma un giorno attaccò all’amo un pesce enorme.
Tirava come un dannat e con gran fatica riuscii quasi a tirarlo sotto riva .
Dove spezzò la canna.
Comunque riuscii a fatica a tiralo a riva.
Era il pesce più grande che avessi mai preso.
Ad un ragazzino che passava di là regalai il pesce purchè lo facesse pesare e venisse a riferirmene il peso.
Cosa che lui fece.
Da quel giorno non andai più a pesca.
Mi ero reso conto che per il mio stupido divertimento infliggevo ad altri esseri viventi dolore, sofferenza e morte.
Per primo al lombrico il quale infilzato nell’amo si contorceva disperatamente.
E poi al pesce, infilzato esso pure all’amo prima e poi lasciato morire soffocato a terra.
E di tutto questo ancora mi dolgo.
Se un dio esistesse e sta cosa del giudizio universale avesse un fondamento nessun essere umano si salverebbe.
A causa del dolore e delle sofferenze inflitte agli altri esseri viventi della propria e dell’altrui specie.
Ero considerato all’epoca persona di discreta intelligenza anche se , mi sono accorto dopo, in realtà non capivo un cazzo di nulla.
Questa caratteristica mia e di molti individui dissociati da sé, di non saper cogliere il dolore inflitto agli altri, è uno dei tratti caratteriali più pericolosi della disumanizzazione che quella condizione psichica impone.