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-         L’esperienza castrante e ciò che esso ha castrato (e continua a castrare) convivono in una condizione di indifferenziazione.

 

-         L’esperienza castrante vissuta nella primissima infanzia fonda il primo o tra i primissimi nuclei di coscienza e ciò che quella esperienza ha  castrato ha una sua sottile radice nell’inconscio (in quanto è appunto uno dei primissimi contenuti dell’inconscio affiorato alla coscienza).

 

-         L’oggetto reale e l’immagine percepita  dagli occhi ed elaborata dalla coscienza percettiva sono due “oggetti” diversi. Così come l’esperienza reale castrante e la sua traccia mnestica nella coscienza sono a loro volta due “oggetti” diversi. A loro volta sono due “oggetti” diversi la traccia mnestica derivata dalla esperienza reale castrante e ciò che essa  ha castrato .

 

-         Il complesso di castrazione non potrebbe diventare tale, sviluppando nel tempo la sua azione castrante, se non fosse continuamente alimentato, nutrito energeticamente , da ciò che esso ha castrato. Paradossalmente ed incredibilmente è la vittima a tenere in vita  il carnefice (come notazione rappresentativa vedasi il film “Il portiere di notte” di Liliana Cavani e l’evento originatore della c.d “Sindrome di Stoccolma”.

 

-         E’ per questo motivo che i negazionisti così tenacemente (ed ottusamente) rifiutano di ammettere l’esistenza dell’olocausto, negando della sua esistenza.Così facendo stanno esprimendo le potenti difese e le altrettanto potenti resistenze con le quali difendono il loro complesso di castrazione. Ammettere l’esistenza delle vittime implicherebbe  portare le stesse alla coscienza  togliendo così al carnefice (al loro complesso di castrazione) la possibilità di continuare ad essere alimentato e costringendolo così a soccombere.

 

 

 

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