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C’era un tempo nel quale scrivevo piccole poesie e piccoli racconti.

Non che fossi uno scrittore figuriamoci , ero solo uno che scribacchiava.

Le poesie , i racconti ed i romanzi (per chi ha tantissime cose da dire) sono una salutare  valvola di sfogo per taluni contenuti istintuali dell’inconscio.

Ma per quanto alta e perfino sublime sia questa forma di espressione essa è comunque e sempre un modo asfittico e strozzato per esprimere in modo estremamente parziale quei contenuti.

Ed soprattutto esprime quei contenuti solo in forme variamente simbolizzate.

La poesia e la letteratura non dice ma  continuamente metadice.

Si ripete, in forme artistiche perfino sublimi ,talune delle quali tocca corde profonde dell’animo e può suscitare emozioni e sentimenti intensi.

Chi ha talento artistico ed è in grado di esprimere nelle forme della letteratura , ma evidentemente non solo, una sua carica inconscia aiuta sé stesso.

E quando talora l’ispirazione cessa (la coscienza castrante blocca quella possibilità di espressione) l’individuo sente la morte dentro di sé.

E taluno a ciò non resiste.

Naturalmente il metadire qualcosa in poesia e dire la stessa cosa non in forma simbolica ma in forma concettuale fa differenza come il giorno e la notte.

Se Giacomo  Leopardi anzichè scrivere quel sublime verso -“Così tra questa/ immensità s’annega il pensier mio:/  E il naufragar m’è dolce in questo mare”  - avesse espresso lo stesso contenuto scrivendo : “La mia coscienza s’arrende e si placa nella ed alla libido dell’inconscio” , avrebbe detto la stessa identica cosa di quel verso sublime de “L’infinito”.

Ma mentre quel verso tocca  corde profonde dell’animo umano e trova là fortissima corrispondenza lo stesso concetto , il suo significato concettuale  prima esposto , in confronto è ben misera cosa.

 

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