La struttura architettonica dei monasteri si ripete pressoché uguale a sé stessa in ogni tempo ed in ogni luogo.
Attorno al pozzo centrale dal quale veniva attinta l’acqua si espandeva un giardino quadrato nel quale i monaci o le monache coltivavano la frutta e gli ortaggi per il loro sostentamento.
Il giardino era a sua volta circondato da un porticato , anch’esso di forma quadrata.
Il tutto era inglobato in una costruzione che conteneva i dormitori, le celle, il refettorio, la biblioteca , la cappella e così via.
Questa struttura architettonica è un rappresentazione simbolica, scritta nella pietra e con la pietra, la quale rappresenta la psiche umana.
Al centro il pozzo rappresentava l’inconscio che con la sua libido/acqua alimentava il giardino e tutti gli abitanti del monastero.
Il giardino ,a sua volta, di forma quadrata rappresentava la coscienza cognitiva la quale dal pozzo nutriva i propri contenuti.
Si osserva per inciso che l’immagine del Sé dell’individuo quando viene integrata in questo livello di coscienza viene talora espressa in forma simbolica in una qualche forma vegetale.
Il porticato , anch’esso di forma quadrata, rappresentava a sua volta la coscienza percettiva.
Il rinchiudersi in un monastero rappresentava pertanto un “rinchiudersi in sé stessi” estraniandosi dalle suggestioni mondane.
Un rinchiudersi in sè stessi allo scopo di ritrovare in sé il proprio individuale e soggettivo Cristo.
L’etnomusicologo Marius Schneider nell’analisi dei significati scritti nella pietra e con la pietra si è spinto oltre.
Studiando il millenario chiosco del monastero benedettino di Sant Cugat del Valles in Barcellona ricorda una frase di Gesù nel capitolo 19 del vangelo secondo Luca:”Io vi dico che se questi taceranno , grideranno le pietre”.
Con una complessa operazione di associazioni e collegamenti lo studioso associa ogni scultura , ogni colonna, ogni capitello (ogni simbolo) di quel portico a delle note musicali.
E scopre che tutto quell’insieme è una rappresentazione simbolica di un “pezzo musicale” , di un motteto :”Ut pia tecum , Cucufas beate”.
Un canto corale in onore di Cacufane , il santo martire catalano nel cui nome venne fondato il monastero di Sant Cugat.
Nel suo studio “Pietre che cantano : studi sul ritmo di tre chiostri catalani di stile romanico” l’autore illustra la complessa rappresentazione simbolica di quelle pietre le quali , come se fossero uno spartito musicale, esprimono un canto , una musica.
Scrive Marius Schneider:”Il destino di colui che è privo di timore reverenziale consiste nel fatto che il sacro parla al suo cuore. Per lo stesso motivo l’imperscrutabile non diventa percettibile per colui che è insensibile , non lo colpisce con la sordità né lo priva della vista , ma passa innanzi a lui silenzioso e senza splendore.”.
Parole che potrebbero benissimo essere riferite a coloro che ignorano i significati dei linguaggi simbolici con i quali anche il sacro, ma non solo, si esprime.