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"Tuttavia, sotto l’ala di un genio tutelare,
esulta ebbro di sole il derelitto figlio,
e in ciò che beve e mangia gli par di ritrovare
la dolcissima ambrosia e il nettare vermiglio.
Scherza col vento, parla a una nuvola a un raggio,
e cantando s’inebria del suo calvario. L’angelo
che lo scorta fedele nel suo pellegrinaggio,
vedendolo felice come un uccello piange.
Quanti egli vuole amare, lo guatan con timore;
oppure, incoraggiati da sì mite dolcezza,
gareggiano a chi primo gli strapperà dal cuore
un lagno; e su lui provan la loro efferatezza.
Fra i cibi e le bevande pronte per la sua bocca
mischiano fredda cenere e sputo avvelenato;
gettano via, compunti, tutto ciò ch’egli tocca,
e schivan di passare dov’egli è passato.
Sua moglie va gridando tra i cocicchi urbani:
“Poich’egli mi considera sì bella che mi adora,
farò come i feticci dei secoli lontani:
dico che intendo e voglio farmi dorare ancora;
m’inebrierò di nardo, d’incenso dolce-olente
di genuflussi omaggi, di carnami, di vini,
per sapere se nel cuore che mi ama cecamente
potrò usurpar ridendo gli attributi divini!
E quando sarò stanca di queste fantasie,
poserò sul suo petto la mano, come un fiore;
ma con le unghiette, simili a quelle delle arpie,
saprò trovar la strada per afferargli il suore.
Come dal nido un tenero palpitante uccelletto,
gli strapperò dal seno quel suo cuor gioioso,
e per saziare il mio mastino prediletto
lo getterò, sprezzante, nel vicolo melmoso!”
In alto, verso il cielo, dov’è un trono splendente,
il Poeta sereno leva le braccia oranti,
ed i vasti baleni del suo spirito ardente
nascondono al suo sguardo le folle deliranti:
(continua)
(scritto il 27/3/23)