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Poniamo il caso di un professore universitario che tiene brillanti lezioni di letteratura o di storia o altro e quando torna a casa ridiventa un individuo retrivo ed ottuso*.
Come se la sua coscienza fosse divisa in due parti, la parte che esprime pensieri di alta cultura (la coscienza cognitiva, la coscienza colta, la coscienza che sviluppa un adattamento secondario accettabile) ed un'altra parte della coscienza (la coscienza percettiva), imbrigliata da una infinità di riferimenti simbolici (infusi in essa dall’imprinting infantile) che rendono l’individuo retrivo ed ottuso.
E’ possibile che ciò che definiamo protesi del falso sè (assunti nel corso dell'imprinting infantile o dalla realtà sensibile) siano rappresentazioni simboliche che definiscono una immagine coatta del Sè dell'individuo lontanissima (o decisamente folle) dalla immagine, diciamo così, “genetica” di quel Sè.
Di conseguenza questa parte della coscienza è in grado di esprimere pensieri (e comportamenti) enormemente discrasici rispetto alla realtà evidente e scientifica del mondo (come per esempio: la terra è piatta!).
Così come l’immagine che in essa lontanissimamente rappresenta un qualche possibile sé folle è enormemente dicrasica da qualsiasi, seppur simbolicamente distante, immagine “genetica” del Sé.
(*) La definizione popolare diffusa di tale condizione umana è:”Al lavoro un leone, a casa un coglione”
(scritto il 30/3/23)