30/5/10

L'amico n.1 e l'amico n.2.

Conosco da qualche tempo un amico (che per comodità chiameremo “amico n.1”) . Ci incontravamo spesso , chiacchieravamo a lungo, ecc..

Un giorno per caso incontriamo un altro mio amico (che chiameremo “amico n. 2”) .Presento i due , scambiamo qualche parola  e poi ci salutiamo.

Qualche giorno dopo incontro l’amico n.2 il quale ricordando il nostro precedente incontro mi fa notare una cosa che dapprima mi stupisce. Mi dice che secondo lui il mio amico n. 1 ha la faccia di uno succubo della moglie.

Mi sembra più una battuta che altro.

Continuando a frequentare il mio amico n. 1 (e sua moglie) e un po’ alla volta mi rendo conto che il giudizio espresso dal mio amico n. 2 era assolutamente centrato.

E qui nasce un problema : Come è possibile che il mio amico n. 2 dopo una frequentazione di soli pochi minuti e quattro chiacchiere abbia potuto cogliere così intensamente e con tanta precisione la situazione familiare dell’amico n. 1 ?.

La risposta sta nel fatto che l’individuo inconscio di sé riesce a percepire dell’altro solo nel limite della sua esperienza inconscia. Ed inoltre la presenza di questi contenuti inconsci lo ottunde nella capacità di visione in tutti gli altri quadranti.

Infatti l’amico n. 2 è in realtà esso pure succube della moglie.

Ma di ciò egli è assolutamente inconsapevole.

Nell’incontro occasionale con l’amico n.1 le proiezioni di questa sua condizione inconscia hanno “illuminato” (costellato direbbe Jung) l’analoga condizione inconscia dell’amico n. 1 rendendogliela perciò in qualche modo percepibile.

Egli cioè (come succede sempre)  ha visto nell’altro ciò che non riesce a vedere in sé stesso.

Ma se questo è vero , com’è vero, come fa allora l’analista a capire di ogni suo paziente .Dato che egli non può avere esperienza di tutti i vissuti possibili?

Il psicoanalista cosciente di sé dovrebbe avere un inconscio “sgombro” e continuamente mantenerlo tale continuamente interpretando i propri sogni via via che emergono.

La condizione del paziente e le sue proiezioni non dovrebbero perciò di norma illuminare esperienze inconsce dell’analista ma “toccare” il fondo del suo inconscio ed “illuminarvi” ivi un qualche archetipo corrispondente.

Consentendo così all’analista di percepire in qualche modo (e quindi capire)  della condizione del paziente.

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