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Se l’esperienza vissuta nel corso dell’imprinting infantile è stata sventurata e ha lasciato segni pesanti nella vita del soggetto la terapia analitica può essere “la mano santa” che lo aiuta a venirne fuori.
Nel corso della terapia si liberano una quantità di proiezioni che si scaricano nel rapporto tra paziente ed analista , cosa buona e giusta questa in quanto esse sono anche responsabili di quella forma di comunicazione subliminale chiamata ”transfert”* .
Talora sull’analista il paziente proietterà una figura materna o paterna che non ha mai vissuto, una “madre buona” , un “padre buono”.
Una figura accogliente e comprensiva che asseconderà il profondo bisogno inconscio del soggetto di liberarsi dalle sbarre e dalle catene e dal filo spinato imposto da quell’imprinting.
La figura della “madre buona” o del “padre buono” implicherà nel soggetto l’attivazione di un complesso materno o di un complesso paterno che progressivamente comincerà a sostituire quello velenoso ed avvelenato che si è strutturato nel soggetto nel corso della sua infanzia.
Via via che il processo di liberazione e di crescita andrà avanti nel corso della terapia (ed anche successivamente) la coscienza di sé, la coscienza del Sé in via di costruzione nel paziente sostituirà a sua volta progressivamente quel complesso , vera e propria struttura inconscia di sostegno terapeutico, fino alla sua completa dissoluzione.
Esso è stato, è e deve essere transitorio in quanto strumentale e finalizzato al successo della terapia , in quanto strumentale e finalizzato al successo di quel processo di crescita psichica.
*Esse si attivano anche nel rapporto tra analista e paziente , il controtransfert, ma questa è un’altra cosa e riguarda e molto il livello di consapevolezza dell’analista stesso.
La potenza di queste proiezioni rende necessaria che la premessa implicita, esplicita e dichiarata fin dall’inizio della terapia sia :”Qui non si fa sesso !”.
La responsabilità dell’analista (maschio o femmina che sia) è quella di aiutare il proprio paziente (maschio o femmina che sia) non di inguaiarlo ancora di più di quanto esso già non sia di suo.