Spesso si parla della propria storia personale oppure della propria personale esperienza oppure ancora del proprio senso di identità o della propria personalità .Ed ogni volta sembra di parlare di cose diverse tra di loro , di “oggetti” diversi quando essi sono in effetti in fondo la stessa cosa.

Nomi diversi per definire non oggetti diversi ma bensì lo stesso oggetto psichico, visto da diversi punti di vista.

 Il distacco da un qualche segmento della propria esperienza , della propria storia (per quanto negativa essa possa essere stata) è sempre un evento doloroso, sofferto.

Questo distacco avviene quando il nuovo, un componente prima negato del proprio Sé, entra nella coscienza mutandola e rende perciò inutile ed inattivo quello specifico segmento che di quello specifico componente del Sé faceva da protesi.

Sia chiaro il segmento di esperienza vissuta , il segmento della propria storia sta sempre là dove è sempre stato e deve sempre sarà.

La storia non muta e non può mutare.

Nel momento in cui il nuovo entra nella coscienza e si prende coscienza di esso quel segmento disattiva la sua azione nella coscienza, nella personalità, nei comportamenti coatti.

Esso viene scaricato dalla energia che lo investiva, viene disinvestito dall’affetto perciò non agisce più, non è più attivo, non può più azionare.

Quando il nuovo non era ancora giunto a destinazione, quando di esso non si era ancora presa coscienza, quello specifico segmento era inconscio e quindi affettivamente investito.

Ora da esso si distaccano le proiezioni , da esso si disinveste affettivamente, energeticamente e perciò lo si disattiva.

E’ come se l’investimento affettivo verso l’oggetto inconscio lo mantenesse nella sua condizione di incoscienza (e quindi di operatività, nella sua condizione di motore che aziona) .

Il prendere coscienza del nuovo ed il disinvestimento affettivo sul detto segmento di esperienza lo costringe a diventare cosciente , lo costringe ad emergere dall’inconscio verso la coscienza.

Il sogno allora lo rappresenta in forma simbolica e di tale segmento si prende coscienza.

Può apparire impossibile.

Ma per quanto negativo, doloroso , patogenico possa essere stato quel segmento di esperienza nella sua genesi e nei suoi effetti esso, fino a quando non viene surrogato nella coscienza dalla cosa in sé viene, per quanto inconsciamente , profondamente “amato”.

Del resto la cosiddetta sindrome di Stoccolma ci dice che ci si affeziona perfino al proprio carceriere, perfino al proprio carnefice quando, nelle condizioni date,  non si ha null’altro da amare.

Non avendo nulla di sé, del proprio Sé, da amare si introietta l’imago del proprio carnefice (sia esso un terrorista o come prima definito un proprio segmento di esperienza) e su di esso si investe affettivamente.

Esso perciò diventa componente strutturale della propria identità.

Finchè il nuovo non giunge.

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