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Alla fine della Guerra fredda la Russia aveva un centinaio di sottomarini nucleari attivi, molti dei quali dotati di doppio reattore nucleare e caricati con missili balistici su cui erano state montate testate nucleari. Cominciò allora un’enorme e costosissima opera di dismissione (costò più di un miliardo di euro attuali), che la Russia portò avanti insieme ad alcuni paesi occidentali, tra cui il Regno Unito.

L’opera di dismissione, però, non fu completa né ben fatta.

Lo smaltimento dei sottomarini nucleari è un processo lungo, complicato e pericoloso, che richiede personale specializzato e lunghe immersioni, per diversi periodi: la prima fase dello smantellamento prevede la rimozione dei reattori nucleari presenti (oltre a eventuali missili con testate nucleari montati sul sottomarino), e successivamente l’estrazione del materiale radioattivo dal reattore: per farlo, occorre prelevare le barre di combustibile dal nucleo di ogni reattore, sigillarle in fusti d’acciaio e predisporle per il trasporto e lo stoccaggio. 

Durante le operazioni di smaltimento la Russia scaricò molte scorie nucleari direttamente in mare: due anni fa nell’oceano Artico vennero trovati migliaia di oggetti radioattivi, molti dei quali con livelli di radioattività considerati pericolosi, e circa 14 reattori nucleari ancora carichi delle barre di combustibile nucleare.

In mare restarono anche due interi sottomarini nucleari completi di tutti i loro pezzi, che sono ancora sott’acqua e tuttora potenzialmente in grado di emettere molte radiazioni, circa un quarto di quelle rilasciate nei primi mesi del disastro della centrale nucleare di Fukushima. Dismetterli avrebbe richiesto lunghe e faticose immersioni in acque ghiacciate, in cui sarebbe stato possibile immergersi solo in tre o quattro mesi dell’anno, e la Russia li lasciò dov’erano.

Uno dei due sottomarini, chiamato K-27, si trova nel mare di Kara ed è noto come “il pesce d’oro” per il suo enorme costo. È lungo 118 metri, quasi come un palazzo di 40 piani.

Nel 1968, pochi anni dopo la sua costruzione, in quel sottomarino morirono nove persone per un incidente dovuto a una perdita di gas dai reattori, che li espose a radiazioni letali: gli altri membri dell’equipaggio (un centinaio) si ammalarono, morendo prematuramente negli anni successivi. Nel 1981 il sottomarino K-27 venne rimorchiato e affondato, senza però venire privato dei reattori nucleari. Secondo alcuni esperti che sono andati a ispezionarlo, potrebbe restare intatto al massimo fino al 2032.

L’altro sottomarino, il K-159, si trova invece sul fondo del mare di Barents. Nel 2003 arrivò finalmente l’ordine di dismetterlo. Venne quindi portato a galla e attaccato a un molo nella marina di Gremikha, soprannominata «l’isola dei cani volanti» per i suoi fortissimi venti. Nelle prime ore del mattino, mentre dieci operatori si trovavano a bordo del sottomarino per lavorare alla dismissione, una tempesta agitò il mare così tanto che le onde riuscirono a sconquassare l’enorme e pesantissimo relitto, facendolo sbattere violentemente contro il molo.

Il cavo di traino che lo teneva attaccato al molo si spezzò e il sottomarino affondò nel giro di un’ora, con le persone a bordo, mentre la tempesta ostacolava i soccorsi. Si salvò solo uno dei marinai a bordo. Da allora il K-159 giace, ancora carico dei suoi reattori (che contengono circa 800 chili di combustibile nucleare), sul fondo del mare di Barents, una delle più grandi riserve di merluzzi al mondo, in cui viene pescata la maggior parte del merluzzo venduto nel Regno Unito, oltre che l’habitat di moltissimi granchi reali rossi, trichechi, balene, orsi polari e di molti altri animali.

 

 

 

 

 

 

 

 

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