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Prima del Novecento, come raccontato da Sacks, la capacità delle canzoni di entrare in testa e rimanerci a lungo era stata già descritta come l’azione di un verme in una mela – utilizzando quindi una metafora simile a quella delle forbicine – in alcuni manoscritti del Settecento di musica folkloristica scozzese per cornamusa. E nel 1876, lo scrittore statunitense Mark Twain scrisse un racconto intitolato A Literary Nightmare riguardo al «contagio» di un’intera comunità dopo che alcune «rime orecchiabili» entrano nella testa del narratore e passano poi da persona a persona.
Il fatto che esista una letteratura tutto sommato antica sui motivi musicali ossessivi permette di escludere che siano un fenomeno legato solo alle recenti tecnologie di riproduzione dei suoni, dal fonografo ai dispositivi digitali. È possibile ipotizzare che queste invenzioni lo abbiano semmai esacerbato, stimolando una serie di riflessioni sul concetto di ripetitività in molti ambiti culturali e anche particolari sperimentazioni in alcuni rami della musica colta, come scrisse nel 2014 sull’Atlantic la musicista statunitense Elizabeth Hellmuth Margulis, ricercatrice di studi musicali alla Princeton University e autrice del libro On Repeat: How Music Plays the Mind.
Il punto di vista di Margulis è che una certa fondamentale tendenza alla ripetizione nella musica sia più una sorta di «principio psicologico» di fondo, sempre presente, e con cui la tecnologia interagisce, che non «un sottoprodotto accidentale di un insieme di circostanze culturali o storiche».
Secondo Margulis, esiste inoltre una distinzione profonda e facilmente intuibile tra il ricordo di un particolare ascolto e l’esperienza di sentir risuonare un motivo musicale «intrappolato» in testa senza la nostra volontà. Ricordare di aver ascoltato la Seconda Sinfonia di Brahms a un concerto, per esempio, potrebbe includere altri dati sensoriali associati a quell’esperienza: la visuale dal posto in cui eravamo seduti, per esempio, o l’interpretazione particolare della sinfonia da parte dell’orchestra.
Quando invece non riusciamo a smettere di sentire risuonare in testa un certo motivo musicale «non ci sembra di ricordarlo ma piuttosto di riascoltarlo per intero». E la caratteristica che lo distingue dai ricordi e dalla maggior parte delle altre immaginazioni è la ripetitività: il fatto che una volta conclusa, la melodia ricominci da capo. Inoltre questo tipo di ripetitività, secondo Margulis, ha più in comune con l’esecuzione di altre routine – come lavarsi i denti o preparare il caffè – che non con una cosciente ripetizione letterale di sequenze verbali.
Come certi motivi musicali risuonino in testa senza il nostro controllo e senza un nostro intervento cosciente è un fenomeno utile a spiegare anche alcune normali caratteristiche distintive della nostra immaginazione e memoria musicale. E spiega, secondo Sacks, «il modo fondamentalmente diverso in cui il cervello tratta musica e visione».
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