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Anche J. L. Borges, come altri, più profondamente di altri, descrive simbolicamente un suo visionario viaggio della coscienza umana.
Nel primo racconto dell’Aleph, “L’immortale”, racconta dei suoi primordi, della sua origine, della sua nascita nella specie umana, dei suoi primi passi (i trogloditi che mangiano carne di serpente), il viaggio nel deserto ed i paurosi percorsi nell’inconscio/la città degli immortali*. Neri labirinti che sboccavano in stanze con nove porte le quali portavano in altri labirinti che sboccavano in altre stanze uguali con nove porte, i corridoi senza sbocco, l’alta finestra irraggiungibile, la vistosa porta che si apriva su una cella o su un pozzo, le incredibili scale rovesciate, con i gradini e la balaustra all’ingiù **.
Altre aereamente aderenti ad un muro monumentale morivano dopo uno o due giri nelle tenebre delle cupole, senza giungere in alcun luogo***, ed infine, uscito da quel palazzo/città il tentativo di insegnare al troglodita, suo amico, la parola, il parlare, il linguaggio.
(*) “Questo palazzo è opera degli dei”, “Gli dei che lo edificarono sono morti, ”Gli dei che lo edificarono erano pazzi”.(ibidem).
(**) Di scale di questo tipo il Piranesi e MC Escher molto hanno dipinto.
(***) Di uno scalone di questo tipo racconta Carlo Levi nel suo romanzo “La tregua” quando arretrando rispetto al fronte di guerra nell’interno della Unione Sovietica arrivano in una casa del popolo dove in un salone un grande scalone lungo il muro non porta da nessuna parte. Ho visto un elegante scalone simile in un salone e lungo il muro di un palazzetto, costruito dal fascismo, ora adibito a struttura sportiva.
Curiose architetture somiglianti create in regimi di uguale mancanza di democrazia. (Si potrebbe ben dire che il sonno della ragione genera mostri ,anche nell’architettura).