Chiunque o quasi è capace di leggere testi di psicoanalisi ed usare dottamente i termini ed il linguaggio di quei testi (a tal proposito raccomando vivamente gli scritti di Lacan).
Io invece non intendo usare quei termini e quel linguaggio.
Ho il mio linguaggio ed uso quello.
La coscienza dissociata, e perciò castrante ed ostile in varia misura ai contenuti vitali dell’inconscio, limita in molti modi l’autonomia e l’individualità dell’ego.
E perciò l’ego e perciò l’individuo, non può fare certe cose o non sa fare certe cose.
Non può pensare certe cose e non può capire certe cose.
Può solo agire cioè rappresentare i propri contenuti inconsci. Può cioè recitarli nel palcoscenico del mondo ma gli è impedito di viverli in sé.
Al contrario la coscienza dissociata si riserva una grande autonomia. Gioca su molti tavoli, usa molti linguaggi.
Si potrebbe pensare che la coscienza dissociata usi a sua discrezione la enorme potenzialità della mente umana lasciando di essa all’ego solo uno spazio limitatissimo (fino all’idiotismo).
Nel corso della terapia la coscienza dissociata dell’altro usa una serie di linguaggi provocatori che tendono a mettere in difficoltà l’analista.
Il quale di fronte a queste comunicazioni provocatorie deve fare ventre molle.
Cioè assorbire ed inertizzare.
E’ pressoché inevitabile che prima o poi accada, data la grande autonomia della coscienza dissociata , che qualche comunicazione dell’altro vada a impattare con qualche aspetto inconscio, con qualche punto oscuro dell’analista.
Ancora una volta fare ventre molle: assorbire ed inertizzare. Ma……..
Se quella comunicazione ha in qualche modo pizzicato l’analista occorre ora osservare le proprie emozioni e le proprie sensazioni e cercare di comprendere cosa è andato a toccare la comunicazione dell’altro.
Ed in questo senso quella comunicazione che vorrebbe essere provocatoria, che vorrebbe ferire, diventa invece una opportunità per capire di sé.
Per comprendere l’ennesimo conflitto tra un contenuto inconscio dell’analista e non ancora reso cosciente e quella parte della sua coscienza che di esso è protesi.