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25/2/06

Martino Lupu aveva chiesto all’agenzia una casa non grande ma in mezzo alla campagna veneta.E fu sorpreso quando, appena il giorno dopo, l’impiegato dell’agenzia gli telefonò dicendo che aveva ciò che faceva per lui.

Si dettero appuntamento davanti all’agenzia e da lì partirono con l’auto dell’impiegato.

Erano le nove del mattino e una foschia leggera copriva il sole, ingrigendo tutto.Del resto il tempo non era mai troppo fulgente in quella stagione.

Percorsero la statale per alcuni chilometri e poi si immisero in una strada più stretta che procedeva attraverso i campi.

Attraversarono un fiumiciattolo ed alcuni fossi.

Infine si immisero in una stradina asfaltata larga poco più di un’auto.

Speriamo di non incrociare nessuno, pensò l’impiegato.

Non aveva nemmeno finito di pensarlo che dalla foschia emerse un’altra auto che procedeva in senso contrario.

L’impiegato accostò la macchina fino al limite della strada, che era fiancheggiata da un fossato, e l’altra macchina fece altrettanto.

Gli specchietti retrovisori si sfiorarono con un leggero rumore.

La donna che guidava l’altra auto non si girò nemmeno a guardarli.Aveva un foulard in testa e degli occhiali scuri che in parte le coprivano il volto.

Ripartirono e subito dopo l’impiegato svoltò l’auto per una stradina sterrata fiancheggiata da sterpi  e grossi alberi.

Alla fine della stradina un pesante cancello in ferro battuto tutto volute e svolazzi.

Siamo arrivati , disse esultante l’impiegato.

Scese dalla macchina con un  grosso mazzo di chiavi tintinnanti, armeggiò intorno alla serratura e poi con fatica spinse prima l’una e poi l’altra  anta del cancello.

Le foglie umide, che si erano accumulate sul terreno, in parte impedirono di aprirlo del tutto ma lo spazio ricavato consentiva comunque all’auto di passare.

Percorsero un piccolo viale fino ad uno spiazzo sul quale si affacciava una casa colonica dai muri scrostati dall’umidità.

Scesero dall’auto e l’impiegato ancora armeggiò con le sue chiavi nel portoncino d’ingresso della casa.

Martino osservò il triste squallore della facciata che contrastava con un certo decoro architettonico del portoncino d’ingresso.

La cornice della porta era infatti di pietra e si intuiva che su di essa erano state scolpite una quantità di figure scarsamente riconoscibili dato che il tempo le aveva corrose e quasi cancellate.

Non riusciva a definire la natura di quei bassorilievi tranne che di una posta nella parte alta della cornice cha dalle volute delle spire sembrava un grosso serpente.

L’impiegato intanto bofonchiava chissàcchè sforzando la chiave nella serratura riottosa finchè la porta finalmente si aprì.

Entrò per primo ed a tastoni trovò l’interruttore della luce.

Una lampadina si accese al centro della stanza sopra un grande tavolo.

Era una cucina ed in fondo si intravedeva un fornello in mattoni con nella parte inferiore il piccolo vano per la legna.

Mentre l’impiegato apriva le due finestre della stanza disse come per caso:Naturalmente in paese hanno le bombole del gas.Basta mettere una cucina a gas ed il problema è risolto.

Martino Lupu lo seguì nella stanza accanto che era un piccola dispensa con un paio di credenze ed un tavolo.Nell’altra stanza un piccolo bagno.

Nella dispensa una scala di legno portava al piano superiore.

Le camere da letto, disse quello dell’agenzia.

Salirono lungo la scala che era solida e massiccia e si trovarono in un piccolo corridoio sul quale si affacciavano quattro porte.

Aprirono, entrarono, spalancarono le finestre.

Erano tutte priva di mobili tranne una che aveva appoggiato alla parete un grande armadio che arrivava fino al soffitto.

Un armadio monumentale.

Martino lo guardò con stupore e lentamente ne aprì un’anta.

Era pieno zeppo di libri per tutta la sua altezza.

E di altri libri era pieno il pesante cassetto posto alla base del mobile.

Incuriosito ne scelse uno a caso.

Pareva scritto in latino e in qualche pagina erano disegnati alambicchi, grosse provette, ecc.

Ne prese un altro e in esso qua e là parevano essere raffigurati dei minerali.Era scritto in una lingua per lui sconosciuta ma sotto una delle raffigurazioni gli parve di leggere “Solfutum”.

Le altre stanze erano completamente vuote e stavano per ritornare sui loro passi quando Martino vide in un angolo in fondo all’ultima stanza una scala a pioli appoggiata al muro in corrispondenza di una botola aperta nel soffitto.

Si avvicinò ed anche l’impiegato lo seguì.

E là cosa c’è ?, chiese.

L’impiegato si strinse nelle spalle: Il sottotetto penso.

Salirono e si ritrovarono in un sottotetto grande come la casa.

A parte la polvere completamente vuoto.

Martino lo percorse alla fioca luce di un paio di finestrelle coperte da vetri istoriati da ragnatele e quasi inciampò in una scala che fuoriusciva da pavimento.

E quì ?, chiese ancora .

Si torna al piano di sotto, azzardò l’impiegato.

Cominciarono a scendere lungo la scala a pioli e ben presto si ritrovarono nel buio più assoluto.

Nessuno dei due voleva far vedere all’altro di avere paura e continuarono la discesa.

L’impiegato ad un certo punto disse esitante:Però è strano, è tanto che scendiamo, dovremmo già essere giunti al piano di sotto.

Martino mugugnò qualcosa  e continuò a scendere.

Infine sentì il terreno sotto i piedi ed avvertì l’impiegato che rincuorato ultimò la discesa anche lui.

Erano nel buio più assoluto.

Martino accese un fiammifero ed intravidero sulla parete una porta.

Vi si diressero cautamente e la aprirono .

Un fiotto di luce illuminò il luogo e si notò subito che esso era grande quanto l’intera casa.

Ed era alto tanto quanto essa.

Un enorme stanzone insomma grande quanto l’intero edificio e che aveva come unica apertura la porta che avevano appena aperto.

Uscirono dalla porta e si trovarono davanti alla casa, davanti alla stessa porta di accesso che l’impiegato aveva aperto con le sue chiavi quando erano arrivati.

Ma che diavolo ?!, si chiese stupito l’impiegato.

Rientrarono per la stessa porta e si ritrovarono nella cucina del piano terra.

Uscirono ancora all’aperto guardando la facciata della casa.

Ma com’è possibile ?, si chiesero all’unisono.

L’impiegato guardò in alto e si accorse di avere lasciato le finestre del primo piano aperte.

Ritornarono sui loro passi e mentre l’impiegato chiudeva le finestre Martino per pura tigna ridiscese per la scala a pioli del sottotetto.

Giunto nello stanzone uscì dalla porta ancora aperta e fuori dalla casa chiamò l’impiegato a gran voce.

Nessuno rispose.

La luce del giorno pareva ora quella del pomeriggio avanzato quando ci si avvia verso la sera.Ed il suo orologio segnava infatti le cinque e mezzo del pomeriggio.

Chiamò ancora con voce molto forte (accidenti come si è fatto tardi , pensò)  ma nessuno ancora rispose.

Irritato rientrò rapido  nella casa e nella cucina trovò l’impiegato che pareva friggere per l’attesa.

Vi ho chiamato da lì fuori a squarciagola, disse Martino, perché non rispondete ?.

Non ho sentito nulla, disse l’impiegato che aveva una gran fretta di andarsene di lì.

Uscirono insieme e la nebbia era ora sparita sotto un sole forte che stava asciugando l’umidità degli alberi.

Accidenti, sono quasi le undici, disse l’impiegato guardando l’orologio ed avviandosi velocemente alla macchina.

Martino guardò il suo orologio che segnava la stessa ora di quello dell’impiegato.

Scuotette seccato il polso. Era un buon orologio e gli scocciava che si fosse guastato proprio adesso.)

 

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