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16/12/13
Il cortile come al solito era attraversato da un mucchio di gatti.
Alcuni randagi accorrevano al momento della distribuzione del cibo ma fuggivano a gambe levate non appena qualcuno si avvicinava a loro mentre altri più fiduciosi si avvicinavano ad Agnese e si strofinavano sulle sue braccia mentre distribuiva il cibo.
Agnese sorrideva compiaciuta e carezzava ora l’uno ora l’altro dei tanti gattini ora adulti che aveva conosciuti nel cortile in estate da cuccioli.
L’inverno era oramai alle porte ed il freddo notturno cominciava a farsi sentire.
Agnese provvide a coprire nel giardino le piante più sensibili al gelo, il rigoglioso papiro le cui foglie cominciavano ad ingiallire, il bambù, il piccolo rosaio, le piante di ortensie le cui foglie erano quasi annerite dal freddo.
Potò le piante di menta, il finocchietto selvatico e la lavanda.
La notte rigirandosi nel letto cercava di capire in che modo potesse proteggere anche i tanti gatti dal freddo incombente anche perché la gattina Cecilia per la seconda volta aveva portato i suoi nuovi quattro cuccioletti sopra lo zerbino e come al solito se ne era andata in giro per i fatti suoi.
I quattro cuccioletti se ne stavano perciò rannicchiati gli uni sugli altri per scaldarsi.
Al mattino costruì una piccola serra con due tane e mise dentro di esse degli stracci.
Una grossa gatta bianca e nera di nome Lauretta si installò subito dentro una delle due tane e i quattro cuccioletti, pur tra qualche ringhio, si arrampicarono sopra di essa e si addormentarono nel fondo della tana riscaldati dal corpo della grossa gatta.
Agnese osservò la cosa con soddisfazione e sistemò anche una cuccia nello sgabuzzino degli attrezzi dietro la casa dove un gruppo di altri gatti trovò la sua sistemazione riscaldandosi gli uni con gli altri.
Dopo qualche giorno Agnese notò che una delle due cucce dentro la piccola serra rimaneva sempre vuota mentre l’altra era invece affollatissima e non si riusciva nemmeno a capire quanti gatti vi trovassero rifugio dentro.
Pensò dipendesse dal fatto che quella cuccia fosse più fredda e perciò la protesse con altri stracci.
Invano.
La gatta Cecilia disdegnava invece tutte le cucce preparate per l’inverno preferendo infilarsi di corsa in casa ogni volta che Agnese apriva la porta.
Si arrotolava allora sopra una poltrona e sarebbe rimasta là a dormire tutto il giorno se ogni tanto Agnese non la spingesse fuori casa per farla accudire ai suoi doveri di mamma.
Una sera vicino alla vaschette del cibo dietro la casa scoprì un affarino pieno di spine che sentendosi osservato nascose la testa contro il muro pensando che non vedendo l’intruso nemmeno l’intruso potesse vedere lui.
Si trattava di un piccolo ma cicciosetto riccio attratto dal cibo dei gatti.
I quali gatti si tenevano a rispettosa distanza dall’animaletto, pur essendo di solito feroci predatori.
Si capisce il motivo.
Il riccio , animale peraltro mitissimo e di lento procedere, al bisogno si arrotolava su di sé diventando una palla spinosa.
Ed ovviamente il suo carattere pungente teneva i gatti a rispettosa distanza.
Qualcuno dei gatti giovani e più inesperti che aveva cercato di annusare la strana bestiolina se ne era allontanato di corsa strofinandosi ripetutamente il naso con le zampe.
Un mattino , ormai l’inverno era avanzato, Agnese come al solito portò fuori il solito cibo ai gatti del suo cortile.
Era ancora buio e la notte più lunga dell’anno era vicina.
Posando la vaschetta del cibo notò che un’altra palla spinosa si allontanava quatta quatta dal cibo e si infilava nella tana che i gatti di solito non occupavano.
E si capì subito allora il motivo per cui i gatti non occupassero la seconda tana.
Nel suo fondo tra gli stracci aveva trovato rifugio, riparato dal freddo ed a portata di cibo, un grosso riccio.
P.S. Siccome da un po’ di tempo ho la fissa della morale mi sono chiesto quale possa essere la morale (o se preferite il significato) di questo semplice raccontino o forse è meglio definirlo semplicemente una ingenua favoletta naturalistica.
Ho capito dopo un po’ che la disponibilità, la tolleranza ed il calore della tenerezza attirano a sé in modo spontaneo e naturale l’affettività e l’istintualità. Mentre invece un carattere “spinoso” tiene tutto ciò lontano da sé.